Oscar 2020 – Parte 1

(Non presenti, ma di cui ho comunque fatto le recensioni in precedenza: C’era una volta a… Hollywood, Joker e Le Mans 66)

Transcript

Come già gli scorsi anni mi sono concentrata su quelli candidati come miglior film, ma ci sarebbero tante altre interessanti categorie da esplorare. Un proposito per il futuro è senza dubbio quello di vedere anche quelli candidati nelle altre categorie tra cui soprattutto miglior film straniero, perché ci sono senza dubbio produzioni esterne allo stile a cui Hollywood ci ha abituato e che vale la pena esplorare.

Parasite

Proprio a proposito di film stranieri quest’anno tra i migliori film brilla proprio una produzione sud coreana: Parasite. Purtroppo adesso non è più al cinema e anche quando era uscito a novembre non mi pare di averlo visto in programmazione in moltissime sale ed è proprio un peccato. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: in questo modo sono stata costretta a vederlo in streaming e in lingua originale. Ricordo che Parasite ha già vinto la palma d’oro al festival di Cannes. Il film è senza dubbio molto molto bello.

Tra quelli che ho visto finora è uno di quelli che secondo me meriterebbe di più la vittoria, come genere possiamo definirlo un thriller, una satira che prende di mira il capitalismo. Una storia magistralmente raccontata sulla frenesia del voler entrare a far parte dell’élite creata dalla società, di chi ha i soldi e si permette dalla sua posizione di considerarsi superiore, di chi dall’altra parte è in guerra contro tutti per cercare di raggiungerli. Vediamo che la linea tra protagonisti e antagonisti non è così netta e i ruoli poi si invertono, quelli che all’inizio sembra che tengano il coltello dalla parte del manico si ritrovano poi con le spalle al muro per poi invertire nuovamente i ruoli.

Parlando un pochino più nello specifico della trama: la storia ruota intorno a una famiglia povera, che fa di tutto per cercare di arrampicarsi nella scala sociale soprattutto con l’inganno, il fingere di appartenere già a una classe socialmente elevata così da poterne entrare a far parte. L’occasione d’oro arriva quando un amico del figlio si trasferisce per continuare all’estero gli studi e lascia a lui il compito di diventare tutor di una ragazzina di una famiglia molto benestante. Questo è solo il primo passo per entrare a far parte del loro mondo: piano piano riescono a ingannare questa famiglia così da essere tutti assunti alle loro dipendenze, avere tutti un alto stipendio e fingersi quasi parte della loro classe sociale, ma una cosa è chiara dall’inizio alla fine: è solo un’impressione. In realtà le due classi sociali di cui fanno parte non ci mischiano mai, non si incontrano se non per essere gli uni alle dipendenze degli altri.

La famiglia dall’alto della sua élite sociale non considera nemmeno gli altri, non sa cosa succede nella parte più povera della città e sottolineano il fatto che a loro piacciono quelli che sanno stare al loro posto. Un elemento che segue le due famiglie e che diventa qualcosa di distintivo e entra poi a far parte dell’ossessione del padre di famiglia più povero è l’odore. L’odore che apparentemente emana, l’odore della povertà. Qualcosa che tenta di togliersi, ma rimane lì, quasi a ricordargli che può fingere quanto vuole ma non sarà mai uno di loro. E l’ossessione che soprattutto lui ha viene poi trasmessa agli altri membri della famiglia fino a distruggerla.

Anche lo scontro con un’altra famiglia che fa sempre parte della loro classe sociale e sta cercando di fare la stessa cosa che vogliono fare loro: ingannare la famiglia ricca così da trarne beneficio. Qui vediamo come sia una lotta sociale in cui non ci sono alleati, tutti contro tutti a qualunque costo e ognuno pensa per sé. Non c’è pietà per nessuno. La disperazione è comune, ma la compassione è concessa solo verso la propria famiglia e non oltre. Questa storia viene raccontata in modo estremo, con ritmo incalzante e ansia crescente fino all’apice finale, in cui finalmente c’è l’incontro-scontro tra le due classi. La rivalità “intellettuale” e economica prende vita vera e propria in modo cruento, forse non del tutto inaspettato, perché sin da subito si percepisce la tensione, la non sostenibilità dei ritmi a cui si sottopongono i protagonisti per raggiungere un obiettivo immaginario creato da una società che non li considera. E la lotta che intraprendono non farà altro che farli ritornare al punto di prima. Concludendo la storia con una struttura circolare, passando il testimone dell’ossessione di padre in figlio.

Storia di un matrimionio

Passiamo adesso a un altro film questa volta realizzato non per il grande schermo ma è una produzione Netflix: Storia di un matrimonio. Oltre a essere candidato come Miglior Film ha anche i due attori protagonisti candidati. La storia è decisamente più tranquilla e i ritmi molto più dilatati rispetto a Parasite, non che i due film siano in alcun modo paragonabili, ma visto che ne abbiamo appena parlato…

Il film racconta la storia di un matrimonio che finisce e di come questa fine influisca durante la separazione sulla vita dei due protagonisti. Il film mi è piaciuto, ma non tanto quanto altri dei film candidati. È molto diverso perché a differenza degli altri non è basato sulla suspense, è una storia familiare, anche la fotografia è molto più confortevole (ma dà comunque l’impressione di qualcosa che ha a che fare col passato). Una cosa che mi è particolarmente piaciuta della sceneggiatura è stata il far iniziare il film con i due protagonisti che dicono i motivi per cui si sono innamorati del proprio partner, così da avere un punto di partenza, sapere il perché stanno insieme, il dietro le quinte di un rispetto reciproco e di un amore che nonostante tutto non finirà mai, ma la vita li porta verso strade diverse, obiettivi che diventano inconciliabili rendendo la convivenza impossibile.

Subito dopo un’introduzione positiva alla storia ci ritroviamo nel mezzo della loro separazione che, per quanto i due non vogliano che si risolva in modo conflittuale, poi lo diventerà. Questo perché pur non volendo ferire l’altra persona nessuno dei due è più disposto a scendere a compromessi sulla propria vita. E questo chiaramente è parte dei motivi che li portano al punto di non ritorno e che pur senza volerlo inizialmente li porterà a trascinare il loro figlio nella disputa. Il film è bello perché racconta di un rapporto che non ha semplicemente raggiunto il punto finale, ha piuttosto raggiunto la necessità di un cambiamento e che entrambi ne hanno bisogno, senza dover diventare nemici.

Tra i due però la separazione è evidente e questo lo sottolineano anche la fotografia e il montaggio, l’inquadrare l’uno e poi l’altra nelle discussioni, non insieme, ma da due parti lontane della stanza. Una scena che ho trovato particolarmente significativa è quando insieme chiudono il cancello, lo spingono insieme una da un lato e uno dall’altro e poi questa barriera rimane tra loro.

Tuttavia questo film mi ha riportato alcuni elementi alla memoria da un altro film che tratta di un divorzio, soprattutto nella seconda parte. Sto parlando del premio Oscar Kramer contro Kramer. Soprattutto nel finale, la mancanza di rancore e il rapporto che continua. Detto questo secondo me ha meno possibilità di vittoria rispetto agli altri perché è forse meno intenso. Però spiega bene entrambe le parti, entrambi i punti di vista di due persone, due genitori che vogliono andare avanti e vogliono una soluzione a dei problemi che non possono più affrontare insieme. È molto triste e anche questo ha un finale che riprende l’inizio e che fa appello ai sentimenti degli spettatori. Piccolo appunto: ho trovato la scena in cui si vede un po’ di sangue totalmente inutile e ce la potevano anche risparmiare. 

1917

Passiamo quindi all’ultimo film di cui vi parlo oggi, visto appena ieri sera al cinema (e che bello essere riuscita a vederlo lì, ha veramente reso l’esperienza ancora meglio). 1917 mi è piaciuto tantissimo, dalla regia, la storia, la fotografia, la recitazione, la colonna sonora. Ha un alto impatto emotivo ed è raccontato in modo altamente coinvolgente. È curioso che io usi così tanto il termine alto quando il film è invece raccontato sempre dal basso o comunque da altezza uomo. E questo lo rende ancora più coinvolgente, aumenta l’ansia perché non vediamo mai niente prima che i protagonisti lo vedano non sappiamo mai a cosa stiano andando incontro. Noi siamo sempre affianco a loro, dentro le trincee, a nasconderci dal fuoco nemico, a correre sul campo di battaglia.

I pochi casi in cui la linea della videocamera si abbassa è per esempio quando devono fare attenzione a dove mettono i piedi e quindi guardiamo per terra esattamente dove il focus del protagonista è. Ma andiamo con ordine: la trama. Chiaramente già solo dal titolo si capisce che si parla della prima guerra mondiale. A due soldati britannici viene affidato un compito: oltrepassare il fronte nemico dove apparentemente i tedeschi si sono ritirati per arrivare a dare un messaggio a un’altra divisione britannica: annullare l’attacco programmato per il giorno dopo perché cadranno in una trappola. Già qui abbiamo le premesse che generano ansia al solo pensiero e in effetti l’ansia è un sentimento che ci accompagna per tutto il film proprio per il modo in cui è raccontato: il film è girato come se fosse un’unica ripresa, senza tagli ma solo movimenti di camera, come se la telecamera fosse l’occhio dello spettatore che segue i due protagonisti camminando fianco a fianco, a volte dietro a volta davanti, ma sempre lì con loro.

I colori sono smorzati, mancano i colori più vividi, il rosso è quasi inesistente, anche in caso di ferite è molto smorzato. Il colore che invece pervade tutto quasi sempre è il marrone delle uniformi, dei campi di battaglia, delle armi, delle rovine. Abbiamo altre scene monocromatiche sull’arancione nelle scene notturne, in cui l’unica fonte di luce è quello dei fuochi della battaglia, delle bombe e dei proiettili. Queste scene oltre ad avere un colore più forte, seppur unico colore, sono anche quelle con un alto impatto emotivo: l’ansia è ormai alle stelle, il tempo sta per scadere, il protagonista è solo in campo nemico, (con anche un contrasto tra ciò che vediamo e la colonna sonora che cambia) deve sopravvivere e poi sempre in questa sequenza avviene un’interruzione rispetto ai ritmi della guerra. Un contatto emotivo che riporta il protagonista nel mondo reale, che non è fatto di una guerra insensata bensì di sentimenti e contatto con altri esseri umani. 

L’effetto soffocante delle trincee è un elemento ricorrente del film, dall’inizio, a poi la sequenza verso la fine con il non riuscire quasi nemmeno a muoversi lì in mezzo ai soldati. A sottolineare questo c’è anche il particolare che dato che la cinepresa segue sempre i protagonisti dalla loro altezza (la loro linea d’orizzonte) non ci sono mai panoramiche, campi lunghi. Una visione umana della guerra, dei sentimenti di soldati che sono lì, ma col cuore a casa, che prendono parte a un insensato conflitto, ma che vorrebbero solo essere umani.

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Pubblicato da Marisa

fangirl a tempo pieno, adora passare il tempo a leggere libri interessanti (meglio ancora se stanno per diventare film, così da disturbare gli altri spettatori con la tipica frase "però nel libro.."), guardare serie tv che risucchino completamente la vita sociale, guardare film al cinema ogni volta che riesce, disegnare e dipingere imbrattando le sue t-shirt nerd preferite (mannaggia) e passa le domeniche a preparare argomenti per i suoi podcast multifandom (le recensioni yeee)